In più occasioni la Giurisprudenza si è espressa in merito al difficile coordinamento tra la disciplina dei contratti pubblici e la Legge Fallimentare; in particolare, l’art. 80, 5° d.lgs. prevede l’esclusione automatica dalle gare e l’impossibilità di stipulare i contratti dell’operatore economico che si trovi sottoposto a procedura concorsuale, questo “salvo il caso di concordato con continuità aziendale“.
Istituto che trova la sua definizione e disciplina all’art. 186-bis L.F. (esplicitamente richiamato dal previgente art. 38 d.lgs. 163/2006), in forza del quale la continuità sussiste quando il piano depositato “prevede la prosecuzione dell’attività di impresa da parte del debitore,la cessione dell’azienda in esercizio ovvero il conferimento dell’azienda in esercizio“.
Il primo problema consiste allora nell’applicabilità alla fase precedente al deposito del piano (il c.d. concordato prenotativo o in bianco) della deroga all’esclusione automatica dalle gare, e quindi di riflesso la possibilità per le imprese che depositano il ricorso ex art. 161, 6° c. L.F. di concorrere per l’affidamento di appalti pubblici.
La questione è stata risolta in senso positivo dalla Giurisprudenza e dall’ANAC sulla base della stessa ratio della continuità e della tutela dell’impresa in crisi; per cui si ritiene che, anticipando i contenuti del piano in corso di redazione e fornendo l’ulteriore documentazione prevista dalla norma, il debitore in pre-concordato possa essere autorizzato a partecipare alle gare e non vada automaticamente escluso dalle stesse.
Ulteriore problema, tuttavia, si pone nei riguardi dell’impresa che concorre alla gara in forma raggruppata con altri operatori, e che in questo RTI ha assunto il ruolo di mandataria; il comma 6° dell’art. 186-bis L.F. sancisce infatti che “l’impresa in concordato può concorrere anche riunita in raggruppamento temporaneo di imprese, purché non rivesta la qualità di mandataria e sempre che le altre imprese aderenti al raggruppamento non siano assoggettate ad una procedura concorsuale“.
Secondo una recente pronuncia del T.A.R. Piemonte “La ratio dell’esclusione per il caso della specifica posizione di mandataria della società in concordato si comprende agevolmente: nell’economia di un’ATI la mandataria è il punto di riferimento ineludibile della stazione appaltante e deve garantire la corretta esecuzione dell’appalto anche per le mandanti; la società in concordato con continuità aziendale […] è una società che, ex lege, per concorrere alle gare necessita di specifiche attestazioni di ragionevole capacità di adempimento del contratto in proprio e può, a determinate condizioni, anche essere obbligata a farsi garantire da un altro operatore; in mancanza del divieto si verificherebbe il paradosso che l’impresa che per legge necessita di essere garantita da terzi, sempre per legge, dovrebbe essere a sua volta responsabile in solido (con funzione sostanzialmente di garanzia) dell’esecuzione non solo della propria quota di obbligazioni ma di tutto l’oggetto dell’appalto” (T.A.R. Piemonte – Torino, Sez. II, n. 260 del 07/03/2019).
Per cui il divieto di cui alla Legge Fallimentare si ricollega alle maggiori esigenze di solvibilità che caratterizzano la figura della capogruppo, che nei confronti della Stazione Appaltante è responsabile in solido dell’esecuzione dell’intera opera; tale ipotesi “esclude addirittura il potere discrezionale in capo alla p.a., fondandosi sul divieto imposto ex lege” (così Cass. SS.UU. n. 33013/2018; cfr. in tal senso anche Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 5919/2018).
Prosegue il Collegio sostenendo che “anche volendo interpretare il riferimento alla “partecipazione” dell’impresa nel senso più ampio, per salvaguardare l’impresa, resta l’esigenza di non imporre, per contro, alla gara pubblica la salvaguardia di un singolo concorrente oltre i limiti in cui ciò indurrebbe una paralisi del suo fisiologico dipanarsi; tale ipotesi, infatti, confliggerebbe apertamente con le finalità proprie dell’evidenza pubblica (tra cui spiccano l’efficienza, la celerità, la par condicio dei concorrenti), ed oltretutto si realizzerebbe in un contesto in cui l’unica valutazione prevista è quella del Tribunale fallimentare, interprete delle sole ragioni dei creditori, il quale, come detto, si limita a rimuovere un limite di capacità del concorrente ma non incide certo sulla gestione della gara da parte della stazione appaltante“.
La predetta impostazione conduce a ritenere che, nonostante il giudizio sulla opportunità della partecipazione alla procedura sia rimesso ex lege al Tribunale Fallimentare (oltre che al professionista attestatore, Commissario Giudiziale e/o creditori, a seconda della fase in cui interviene la richiesta), la procedura di affidamento dell’appalto continua ad essere governata dalla Pubblica Amministrazione committente, che può ben decidere di limitare la protrazione dei tempi e la distorsione delle regole della gara, contemplate dal Codice dei Contratti Pubblici.