Il contrasto giurisprudenziale in ordine all’interpretazione del comma 6° dell’art. 186-bis L.F. (avevamo dato atto degli orientamenti del T.A.R. Piemonte e del T.A.R. Toscana) è approdato avanti alla Corte Costituzionale, per verificare la legittimità della norma che vieta ad una impresa in concordato di assumere il ruolo di mandataria in una gara pubblica.
In sé, il dato testuale non risulta equivoco, prevedendo che “…l’impresa in concordato può concorrere anche riunita in raggruppamento temporaneo di imprese, purché non rivesta la qualità di mandataria e sempre che le altre imprese aderenti al raggruppamento non siano assoggettate ad una procedura concorsuale“; per tale motivo, alle imprese capogruppo destinatarie di provvedimenti di esclusione in ragione del loro accesso alla procedura (seppur ex art. 186-bis L.F.), restava come unico rimedio la dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma.
Con Sentenza depositata il 7 maggio 2020, la Consulta ha quindi affrontato le questioni di legittimità costituzionale sollevate da T.A.R. Lazio e Consiglio di Stato (Sez. V), le quali attenevano al combinato disposto della norma fallimentare con l’art. 38, comma 1, lettera a) D.Lgs. 163/2006, che commina l’esclusione dalle procedure di affidamento ai soggetti “che si trovano in stato di […] concordato preventivo, salvo il caso di cui all’articolo 186-bis…“.
In particolare, si riteneva in vario modo violato l’art. 3 Cost., in quanto la disciplina determinerebbe un’irragionevole disparità di trattamento “esterna” fra l’impresa che riveste la qualità di mandataria di un RTI e l’impresa che partecipa come singola offerente o come mandataria di un consorzio ordinario di concorrenti, oltre che una disparità “interna” fra l’impresa mandataria e l’impresa mandante di un RTI; il tutto tradendo la ratio di favorire il superamento della crisi d’impresa sottesa all’istituto del concordato preventivo con continuità aziendale.
Si ritenevano inoltre possibilmente violati gli artt. 41 e 117, secondo comma, lettera a), Cost., in quanto l’esclusione dell’impresa mandataria di un RTI comporterebbe un’ingiustificata limitazione della libertà di iniziativa economica e la lesione del principio della concorrenza, peraltro negando a questa impresa, come osservato dal Consiglio di Stato rimettente, «…la chance di ottenere un flusso di denaro utile al superamento dello stato di crisi».
Da ultimo, sussisterebbe una violazione del principio di buon andamento della P.A. ex art. 97 Cost., vista la ingiustificata limitazione del potere delle pubbliche amministrazioni di scegliere il contraente più qualificato e capace.
La Corte, ricostruiti gli orientamenti e le argomentazioni delle parti intervenute, conclude per la infondatezza delle questioni di legittimità sollevate.
Si osserva in particolare che “…la norma censurata, escludendo dal beneficio la mandataria di un RTI, introduce un’eccezione all’eccezione, e quindi ripristina, per il caso da essa considerato, la ricordata regola generale in base alla quale chi è soggetto a procedure concorsuali non può partecipare alle procedure per l’affidamento di contratti pubblici“, e che “…non vi è dubbio che la diversa modalità di partecipazione non è indifferente dal punto di vista dell’interesse della stazione appaltante, per la quale segnatamente la posizione dell’impresa mandataria di un RTI assume rilievo e valore differenziato“.
Per cui non viola il principio di uguaglianza e non risulta irragionevolmente discriminatoria la norma che disciplina lo specifico caso dell’accesso al concordato dell’impresa mandataria (o che si propone come tale) di un RTI, tenuta come noto a rispondere dell’esecuzione di tutte le prestazioni previste dal bando di gara, anche quelle scorporabili o secondarie di competenza delle mandanti.
Viene inoltre esclusa una irragionevolezza intrinseca della norma, alla luce del fatto che “la scelta del legislatore di far prevalere nella fattispecie il primo dei descritti interessi – escludendo l’impresa mandataria di un RTI in concordato preventivo con continuità aziendale dalla possibilità di partecipare alle gare pubbliche – può essere considerata opinabile, giacché altre soluzioni avrebbero potuto legittimamente essere adottate, ma non supera i limiti entro i quali la discrezionalità legislativa si deve ritenere legittimamente esercitata“.
Quanto alle censure relative agli artt. 41 e 97, la Corte conclude che l’apposizione di limiti di ordine generale all’esercizio dell’iniziativa economica è giustificata se corrispondente all’utilità sociale, nel caso di specie coincidente o comunque coerente con l’interesse della stazione appaltante a scegliere il contraente più affidabile e capace di adempiere.
Alla luce della pronuncia in commento, deve ritenersi definitivamente superata l’impostazione del T.A.R. Toscana (che vedeva addirittura l’implicita abrogazione del comma 6°) e confermata quella del T.A.R. Piemonte, che condivisibilmente osservava come “…in mancanza del divieto [di partecipazione in qualità di mandataria, n.d.r.] si verificherebbe il paradosso che l’impresa che per legge necessita di essere garantita da terzi, sempre per legge, dovrebbe essere a sua volta responsabile in solido (con funzione sostanzialmente di garanzia) dell’esecuzione non solo della propria quota di obbligazioni ma di tutto l’oggetto dell’appalto“.