A breve distanza di tempo dalla convincente pronuncia del T.A.R. Piemonte (Sez. II, 07/03/2019, n. 260) che aveva valorizzato “l’esplicito dettato normativo che vieta de plano ad una impresa (anche già ammessa a concordato con continuità aziendale) la partecipazione ad una gara con il ruolo di mandataria di un RTI“, la Giurisprudenza è tornata sul tema addivenendo alla conclusione diametralmente opposta.
Il T.A.R. Toscana (Sez. II, 03/04/2109, n. 491) ha compiuto una radicale rilettura della disciplina, propugnando un diverso coordinamento tra le norme del Codice Appalti e quelle della Legge Fallimentare; in particolare, l’argomento di partenza è la ritenuta innovatività del precetto di cui all’art. 80, 5° c. d.lgs. 50/2016 rispetto alla corrispondente previsione dell’art. 38, 1° c. lett. a) d.lgs. 163/2006.
Secondo il Collegio, infatti, la deroga della causa di esclusione per le imprese sottoposte al concordato in continuità sarebbe stata introdotta dall’attuale Codice, e non già nell’ambito del previgente; per cui la norma del 2016 (Codice Appalti) – dettante un favor per le imprese in concordato in continuità aziendale – varrebbe a superare la confliggente norma di cui all’art. 186-bis L.F., in forza della quale “l’impresa in concordato può concorrere anche riunita in raggruppamento temporaneo di imprese, purché non rivesta la qualità di mandataria“.
Testualmente, la pronuncia sostiene che “Il conflitto tra le norme può essere risolto secondo il criterio cronologico. La disposizione della legge fallimentare, come sopra citato, è venuta alla luce con il decreto legge 23 giugno 2012, n. 83 convertito nella legge 7 agosto 2012, n. 134. La norma di cui all’articolo 80, comma 5, lett. b) del Codice dei contratti pubblici è invece venuta alla luce con il d.lgs. n. 50/2016 e, quindi, successivamente alla prima. Questa pertanto, in base al criterio cronologico di soluzione dei conflitti tra norme, deve ritenersi implicitamente abrogata“.
Sennonché, la premessa da cui muove il Collegio appare errata, atteso che già nel corpo dell’art. 38 d.lgs. 163/2006 era stata introdotta la deroga per le imprese che, pur accedendo alla procedura concorsuale, non miravano alla integrale liquidazione del patrimonio; infatti la norma prevedeva come causa di esclusione il trovarsi del soggetto in situazione “…di concordato preventivo, salvo il caso di cui all’articolo 186-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267“.
Semplicemente, la norma del vecchio Codice richiamava il relativo articolo della Legge Fallimentare, mentre quella attuale menziona espressamente “il caso di concordato con continuità aziendale“; per cui non è affatto corretto ritenere che il previgente art. 38 “comminava l’esclusione alle imprese che si trovassero in stato di concordato preventivo, senza effettuare alcuna distinzione“.
Ulteriore e decisivo rilievo attiene al fatto che la lettera a) del 1° comma dell’art. 38 è stata così modificata (introducendo quindi la “distinzione” negata dal Collegio) proprio per effetto della Legge n. 134 del 2012, introduttiva dell’istituto del concordato in continuità nel corpo della Legge Fallimentare.
La fallacia del ragionamento in cui è incorso il T.A.R. Toscana è pertanto evidente, non potendosi sostenere l’implicita abrogazione di una norma in virtù del criterio cronologico laddove, come in questo caso, le due disposizioni siano assolutamente contemporanee.
Risulta quindi assolutamente condivisibile e preferibile l’orientamento espresso dal T.A.R. Piemonte, così come dalla Sezione III del Consiglio di Stato (n. 5966/2018), secondo cui “…la preclusione ai sensi del sesto comma dell’art. 186-bis, per cui l’impresa non possa rivestire la qualità di mandataria, è dunque del tutto insuperabile”.