DIRITTO AMMINISTRATIVO – Le intese anticoncorrenziali in materia Antitrust

In materia antitrust, ai fini della configurabilità delle “intese anticoncorrenziali” di cui all’art. 101, paragrafo 1, TFUE non bisogna fare riferimento ai concetti civilistici della disciplina generale del contratto di cui agli art. 1346 e ss. del Codice Civile.

Questo quanto affermato dal Consiglio di Stato nella recente sentenza n. 740/2017, nella quale il Collegio ha evidenziato come gli accordi anticoncorrenziali non devono essere, e non lo sono quasi mai, dei contratti in senso negoziale-civilistico e le “pratiche concordate” sovente consistono in meri comportamenti di fatto privi di oggetto negoziale.

Pertanto la tipicità legale del negozio o dello strumento contrattuale utilizzato dalle parti nel caso concreto, ovvero il fatto che esso abbia un oggetto che esula dalla regolazione della concorrenza, non esclude la possibilità di valutare gli effetti antitrust dallo stesso prodotto o la violazione della normativa di riferimento.

Ed infatti, accogliendo una diversa impostazione, l’illecito concorrenziale di cui all’art. 101 TFUE sarebbe pressoché inconfigurabile, dal momento che la maggior parte delle volte esso si configura in presenza di comportamenti astrattamente leciti – se esaminati da un punto di vista differente rispetto a quello della tutela della concorrenza. Ciò che rileva invece ai fini della normativa antitrust non è la legittimità o meno del singolo atto o negozio, bensì la portata anticoncorrenziale di una serie di atti e condotte.

La circostanza che i raggruppamenti temporanei di imprese, i consorzi o i subappalti costituiscano negozi giuridici leciti non esclude la loro contrarietà ai principi della concorrenza “allorché risulti che la concreta funzione socio-economica dell’affare sia illecita in quanto volta a contrassegnare un assetto contrario a norme imperative, essendo molteplici istituti civilistici neutri sotto profili antitrust e dovendo essere verificato in concreto il loro utilizzo a fini anticoncorrenziali”.

Il Consiglio di Stato ha quindi confermato  la sentenza del T.A.R. Lazio emessa nel giudizio di impugnazione di un provvedimento sanzionatorio dell’AGCM; in particolare, si è ritenuto che gli operatori avessero stipulato un’intesa avente ad oggetto il condizionamento dell’esito della gara, eliminando il reciproco confronto concorrenziale, mediante l’utilizzo distorto dello strumento consortile“, ciò al fine di garantirsi il numero massimo di lotti maggiormente appetibili, sul presupposto che entrambe avrebbero complessivamente beneficiato dei risultati singolarmente conseguiti.