La Corte di Cassazione è tornata a più riprese sul tema dell’assoggettamento alle procedure concorsuali delle società partecipate da Enti Pubblici; il punto di partenza è sempre la decisione delle Sezioni Unite sulla giurisdizione della Corte dei Conti sull’azione di responsabilità per danni cagionati al patrimonio della società in house, fenomeno di cui da tempo sono stati tracciati i requisiti.
Questi sono essenzialmente tre: “1) il capitale sociale sia integralmente detenuto da uno o più enti pubblici per l’esercizio di pubblici servizi e lo statuto vieti la cessione delle partecipazioni a privati; 2) la società esplichi statutariamente la propria attività 5 di 10 prevalente in favore degli enti partecipanti, in modo che l’eventuale attività accessoria non implichi una significativa presenza sul mercato e rivesta una valenza meramente strumentale; 3) la gestione sia per statuto assoggettata a forme di controllo analoghe a quelle esercitate dagli enti pubblici sui propri uffici, con modalità e intensità di comando non riconducibili alle facoltà spettanti al socio ai sensi del codice civile“.
Secondo il consolidato orientamento della Cassazione (n. 17279/2018, n. 3196/2017 e n. 22209/2013), il perseguimento dell’interesse pubblico attraverso lo strumento privatistico comporta l’assunzione dei rischi connessi alla eventuale insolvenza, in ossequio alle regole della concorrenza e ai principi di uguaglianza e di affidamento dei soggetti che entrano in rapporto con tali società.
Il principio è stato poi codificato mediante il Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica (d.lgs. n. 175/2016) il cui art. 14 prevede che “Le società a partecipazione pubblica sono soggette alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo, nonché, ove ne ricorrano i presupposti“.
Si deve pertanto ritenere che “…tutte le società c.d. pubbliche, che svolgano attività commerciale […], quale che sia la composizione del loro capitale sociale, le attività in concreto esercitate, ovvero le forme di controllo cui risultano effettivamente sottoposte, restano assoggettate al fallimento, al pari di ogni altro sodalizio nei cui confronti debbano trovare applicazione le norme codicistiche“.
La più recente presa di posizione sul tema (Sez. I, 22/02/2019, n. 5346) conferma che “…non è prevista – per le società in house così come per quelle miste – alcuna apprezzabile deviazione rispetto alla comune disciplina privatistica delle società di capitali, nel senso che la posizione dei comuni all’interno della società è unicamente quella di socio in base al capitale conferito“.