RISTRUTTURAZIONI DEL DEBITO – La Cassazione torna sul rapporto tra affitto d’azienda e il concordato in continuità

Nonostante l’inequivoca previsione dell’art. 186-bis L.F., ai sensi del quale costituisce concordato con continuità aziendale quello che preveda “la prosecuzione dell’attività di impresa da parte del debitore, la cessione dell’azienda in esercizio ovvero il conferimento dell’azienda in esercizio in una o più società, anche di nuova costituzione“, la prassi evidenzia numerosi casi di riconduzione dell’affitto d’azienda nell’ambito del predetto istituto concorsuale.

Le conseguenze, in punto di disciplina applicabile, sono notevoli: tra tutte, la necessità che il piano contenga “un’analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell’attività d’impresa prevista dal piano (…) delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di copertura“.

La ratio della norma è quella di evitare o comunque mitigare il rischio che la continuità aziendale si risolva in un danno per i creditori, ipotesi che si verifica allorquando l’impresa in esercizio assorbe più valore di quello che crea, e non garantisce una redditività immediata o futura tale da giustificarne la prosecuzione.

Altra cautela riguarda la necessità di attestazione sul fatto che la continuità sia “funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori“, rispetto all’alternativa della liquidazione del patrimonio dell’imprenditore in crisi.

Di recente la Corte di Cassazione (sez. I, 19/11/2018, n.29742) è intervenuta ricostruendo in maniera sistematica la disciplina di cui all’art. 186-bis L.F., ed individuando nelle tre alternative rimesse al debitore con riguardo all’azienda (prosecuzione, cessione o conferimento) la codificazione delle due forme della “continuità diretta” e della “continuità indiretta”.

Nella seconda ipotesi “…vi è la prosecuzione della gestione aziendale da parte dell’imprenditore, ma, a differenza del caso esaminato ove essa è di carattere duraturo, qui si ha una gestione meramente interinale, volta principalmente a conservare il valore del complesso aziendale nell’ottica di una migliore cessione e realizzo del complesso aziendale“.

A questo punto la Suprema Corte ritiene doveroso “esaminare il problema concernente il se il concordato possa dirsi con continuità aziendale anche quando l’azienda è stata affittata o è destinata ad esserlo“, viste le differenti opinioni dottrinali e giurisprudenziali; in particolare, si contrappongono l’interpretazione letterale della norma (e la considerazione che il rischio di impresa non sussisterebbe nel caso di affitto di azienda) e quella che valorizza l’aspetto oggettivo della continuazione, indipendentemente dal soggetto che prosegue l’attività aziendale.

L’affitto viene poi distinto in “fine a sé stesso” e “affitto-ponte“, stipulato nella prospettiva di trasferire l’attività in esercizio; questo viene da alcuni ritenuto pienamente compatibile all’art. 186-bis laddove affitto e cessione siano previsti nel piano (non già in un contratto anteriore ad esso), e nel frattempo il debitore affittante mantenga la qualità di imprenditore (gestendo il contratto o liquidando i cespiti aziendali).

Per risolvere il contrasto interpretativo, la Corte propone una distinzione tra “continuità in senso più marcato (“forte”), ove il piano concordatario preveda il pagamento dei creditori attraverso la prosecuzione dell’attività d’impresa da parte del debitore, oppure in senso meno evidente (“debole”), ove il risanamento venga attuato attraverso una serie di attività strumentali alla cessione dell’azienda in esercizio, come l’affitto d’azienda (eventualmente, ma non necessariamente, accompagnato da una proposta irrevocabile d’acquisto ad un prezzo garantito)“.

Con particolare riguardo alla prosecuzione dell’attività di impresa mediante affitto, viene enunciato il principio di diritto in forza del quale risulta “…indifferente la circostanza che, al momento dell’ammissione alla suddetta procedura concorsuale o del deposito della relativa domanda, l’azienda sia esercitata dal debitore o, come nell’ipotesi dell’affitto della stessa, da un terzo, in quanto il contratto d’affitto – recante, o meno, l’obbligo dell’affittuario di procedere, poi, all’acquisto dell’azienda (rispettivamente, affitto cd. ponte oppure cd. puro) – può costituire uno strumento per giungere alla cessione o al conferimento dell’azienda senza il rischio della perdita dei suoi valori intrinseci, primo tra tutti l’avviamento, che un suo arresto, anche momentaneo, rischierebbe di produrre in modo irreversibile“.

Ne deriva che, ad avviso della Cassazione, la disciplina speciale  di cui all’art. 186-bis, con i relativi supplementi informativi e documentali, si applica ogni qualvolta la prosecuzione dell’attività di impresa sia rilevante ai fini del piano, ovverosia incida sulla soddisfazione dei creditori concorsuali.