RISTRUTTURAZIONI DEL DEBITO – Affitto d’azienda e concordato in continuità

Una parte della Giurisprudenza e della Dottrina formatesi con riguardo all’art. 186-bis L.F. avevano inquadrato la cessione o affitto dell’azienda in esercizio da parte del debitore quale ipotesi di c.d. continuità indiretta; in particolare, si riteneva che “in tal caso la soddisfazione dei creditori avviene mediante l’impiego delle risorse rivenienti dal trasferimento, e cioè mediante la destinazione ai creditori del corrispettivo pagato dal cessionario” (M. Arato, Questioni controverse nel concordato preventivo con continuità aziendale, in Il Caso, 8/2016).

Il Tribunale di Bolzano (decreto del 10/03/2015) aveva inoltre ritenuto che “lo spartiacque fra il concordato liquidatorio e quello in continuità sia l’oggettiva, e non soggettiva, continuazione del complesso produttivo, sia direttamente da parte dell’imprenditore, che indirettamente da parte di un terzo (affittuario, cessionario, conferitario), con conseguente applicazione della specifica disciplina, in termini di benefici e oneri“.

Sull’argomento, la Sezione Fallimentare del Tribunale di Roma aveva adottato specifiche linee guida, ritenendo “di prediligere l’argomento secondo il quale, dal momento che l’affitto costituisce null’altro che lo strumento per mantenere l’azienda in vita, la continuità sussiste anche nel caso in cui la proposta di concordato provenga da una società che abbia concesso in affitto a terzi la propria azienda, ravvisandosi in entrambi i casi l’elemento qualificante della presenza di un’azienda in esercizio“.

Una recente sentenza del Tribunale di Pordenone (19/01/2017) ha rivisto la questione sancendo che l’affitto di azienda non è compatibile con il concordato in continuità, e ciò per diversi motivi tra i quali: l’omessa previsione normativa nell’ambito dell’art. 186-bis L.F.; la riferibilità a terzi della continuità temporanea cui è funzionale l’affitto; la cessazione dell’attività imprenditoriale del debitore conseguente all’affitto e alla successiva vendita.

Ritiene il Tribunale che “il concordato in continuità non può che comportare una sopportazione del rischio d’impresa da parte dei creditori concorsuali che può giustificarsi e sussistere se e fino a quando l’impresa sia gestita dall’imprenditore e la gestione continui a presentare dei profili di aleatorietà“; laddove siano predeterminati criteri e corrispettivi dell’affitto e della successiva cessione dell’azienda, non sussisterebbe alcun rischio a carico del ceto creditorio che aderisce alla proposta, la quale diventa pertanto inammissibile ai sensi e per gli effetti degli artt. 162 e 173 L.F.