Un punto di collegamento tra la normativa in materia di contratti pubblici di appalto e la Legge Fallimentare attiene al trattamento dei crediti maturati dal subappaltatore nei confronti dell’appaltatore, allorquando quest’ultimo sia assoggettato a fallimento o concordato preventivo; si tratta a quel punto di coordinare le previsioni dell’art. 118, 3° c. d.lgs. 163/2006 con l’art. 111, 2° c. L.F. che contiene la definizione di crediti prededucibili.
Un primo orientamento della Corte di Cassazione era nel senso di ritenere che il pagamento del credito del subappaltatore dovesse comportare un sicuro vantaggio per la procedura; nel caso in cui la Stazione Appaltante trattenga, ex art. 118, 3° c. del Codice, una maggior somma fino a che non ottiene prova dell’avvenuto pagamento dei subappaltatori (la trasmissione delle “fatture quietanziate“), potrebbe doversi ricorrere ad un criterio di convenienza “aritmetica” per stabilire se il loro credito – rectius, il pagamento – sia o meno “funzionale” alla procedura.
Si era quindi ritenuto che “Il credito del subappaltatore può essere ammesso in prededuzione al passivo fallimentare se comporta un sicuro ed indubbio vantaggio per la massa creditoria, quale conseguenza del pagamento della p.a. committente in quanto solo tramite il rilascio della quietanza la curatela ha potuto riscuotere il credito residuo verso il committente pubblico” (Cass., Sez. VI, 16/02/2016, n. 3003).
La più recente pronuncia sul tema dà atto di un radicale mutamento di impostazione, negando natura prededucibile al credito del subappaltatore a prescindere dal fatto che l’Amministrazione stia o meno trattenendo maggiori somme spettanti all’appaltatore in procedura.
Secondo la Sezione I della Cassazione (n. 33350 del 21/12/2018) “In caso di fallimento dell’appaltatore di opera pubblica, il subappaltatore deve essere considerato un creditore concorsuale come tutti gli altri, nel rispetto della “par condicio creditorum” e dell’ordine delle cause di prelazione, non essendo il suo credito espressamente qualificato prededucibile da una norma di legge, né potendosi considerare sorto in funzione della procedura concorsuale, ai sensi dell’art. 111, comma 2, l.fall.; invero, il meccanismo ex art. 118, comma 3, del d.lgs. n. 163 del 2006 – riguardante la sospensione dei pagamenti della stazione appaltante in favore dell’appaltatore, in attesa delle fatture dei pagamenti di quest’ultimo al subappaltatore – deve ritenersi, alla luce della successiva evoluzione della normativa di settore, calibrato sull’ipotesi di un rapporto di appalto in corso con un’impresa “in bonis“, in funzione dell’interesse pubblico primario al regolare e tempestivo completamento dell’opera, nonché al controllo della sua corretta esecuzione, e solo indirettamente a tutela anche del subappaltatore, quale contraente “debole”, sicché detto meccanismo non ha ragion d’essere nel momento in cui, con la dichiarazione di fallimento, il contratto di appalto di opera pubblica si scioglie“.
Se la ratio della pronuncia della Cassazione risiede nell’avvenuto scioglimento del contratto di appalto in conseguenza della dichiarazione di fallimento, nelle ipotesi di concordato preventivo la disciplina potrebbe essere differente.
Sul tema va segnalata una isolata pronuncia di merito, che dà rilievo alla natura di meri acconti dei S.A.L., e alla maturazione del corrispettivo dell’appalto solo alla consegna dell’opera; questi principi, coordinati con la disciplina dei contratti pendenti nel concordato (art. 169-bis L.F.) indurrebbero a ritenere prededucibili tutti i crediti dei subappaltatori che al momento dell’apertura del concorso non hanno terminato i lavori.
Secondo il Tribunale di Genova (26/02/2018) “…gli unici crediti sottoponibili a falcidia sono quelli che nascono, per prestazioni rese prima dell’apertura della procedura, in relazione a contratti di durata, in cui sia possibile isolare […] il corrispettivo spettante per le prestazioni rese fino ad una certa data“; sennonché “…l’appalto non è un contratto di durata: la prestazione dell’appaltatore può richiedere il compimento di una attività prolungata, ma non è frazionabile nel tempo […]. L’adempimento all’obbligazione dell’appaltatore avviene istantaneamente con il completamento e la consegna dell’opera, da cui deriva il diritto al pagamento del corrispettivo“.
I pagamenti in corso d’opera sarebbero quindi semplici acconti sul compenso finale, che solitamente corrispondono all’avanzamento dei lavori solo come misura prudenziale e di congruità; sulla base di tali considerazioni, il Tribunale ritiene che “…qualora non intervenga lo scioglimento ai sensi dell’art.169-bis, il corrispettivo totale spettante all’appaltatore, il cui credito viene a maturare dopo la presentazione del ricorso per concordato preventivo, non è soggetto alla falcidia concorsuale“.
La conseguenza di tale ricostruzione sarebbe quindi che “…non devono essere considerati “anteriori”, ai fini dell’applicazione degli artt. 167 e 184 l.fall. i crediti che nascano […] da contratti non compiutamente eseguiti al momento del deposito del ricorso, a prescindere dal momento in cui essi siano divenuti esigibili“.